SALISBURGO NON AMOUR


Dietro l’ennesima guerra intestina tedesca c’è un affare di spie e di immigrati. Mario Sechi: “La guerra alla spia di Berlino si è risolta con il metodo del promoveatur ut amoveatur, per rimuoverti, ti promuovo. Così Hans-Georg Maassen, il capo del controspionaggio tedesco (BfV) accusato di aver flirtato con la destra nazionalista di AfD e di aver detto che durante le manifestazioni della destra a Chemnitz (Sassonia) non c’è stata nessuna caccia allo straniero è stato rimosso dal suo incarico e destinato a diventare sottosegretario di Stato al ministero federale dell’Interno. Angela Merkel ha accettato la richiesta di rimozione partita dagli alleati della SPD, ma per farlo senza rompere con la CSU di Horst Seehofer ha dovuto procedere con la formula “dolce” e non con il licenziamento. Così Maassen continuerà a lavorare per Seehofer. È un compromesso che salva la Grosse Koalition da un’altra crisi, ma apre ferite profonde visto che la formula della promozione è stata criticata non solo dall’opposizione ma dagli esponenti della SPD che pure hanno ottenuto la rimozione di Maassen”. A monte, l’omicidio di un trentacinquenne tedesco a Chemnitz, con la polizia che ancora non sa o non vuole trovare i colpevoli, arresta, scarcera, non dice che comunque si tratta di un attentato a matrice fondamentalista.
Anche in Francia, a Nantes, l’ennesima auto impazzita si lancia contro i tavolini di un bar e falcia alcuni avventori, coinvolti in modo grave. Dai media, scarsa o nessuna risonanza. La polizia locale prima ancora di intervenire, praticamente, manda la versione ufficiale: un disadattato, un depresso, vittima dell’alienazione. Ma l’hanno sentito urlare, inneggiare ad Allah. Sono queste le situazioni che una pur volonterosa opinione pubblica europea non capisce più, se ne riscopre satura, esasperata di dover passare per fessa, di accettare, versioni ufficiali offensive per l’intelligenza prima ancora che la verità. E infatti la Merkel resta sopra ad un cancellierato arrugginito, quanto a Macron ormai solo quindici, sedici francesi su cento ci vedono ancora qualcosa di buono. In Italia, all’opposto, in sei su dieci sembrano approvare la linea dura di Salvini, confermata ogni giorno da una cronaca inesausta: a Macerata arrestano due spacciatori davanti alle scuole medie inferiori, uno è un giovane del Gambia che mena i poliziotti e inghiotte un involucro, l’altro addirittura uno di quelli già feriti in febbraio dall’esagitato neofascista Luca Traini dopo la sconcertante vicenda di Pamela Mastropiero, giovane tossica evasa da una comunità dei paraggi e ritrovata a pezzi in un trolley dopo l’ultimo incontro con alcuni nigeriani spacciatori.

Oggi a Salisburgo, intanto, ennesimo vertice europeo, ennesima riprova dell’inadempienza e della distanza di una Unione Europea che proprio sui migranti ha lasciato onori e oneri ai singoli Paesi dopo avere abusato in lusinghe, minacce e promesse. 

Epico fu il brindisi per i 60 anni ad Europa condita, il 25 marzo di un anno fa a Roma: in pompa magna, il presidente euroortodosso, Mattarella, calice in mano, e a corona tutti i burocrati, i ministri, i mammasantissima di Bruxelles stretti in un giuramento alcoolico: da oggi si cambia, da oggi si fa sul serio, l’Europa c’è e risolverà la questione migranti, l’emergenza migranti. Diciotto mesi dopo, ogni commento è superfluo; resta la presa d’atto di un totale fallimento che ha inasprito divisioni, localismo, frizioni. Resta, oltre tutto, soprattutto, la persistenza di un colossale stravolgimento per il quale, secondo la vulgata europeista, chi si aspetta misura, chi invoca controlli, chi decide per la difesa di confini nazionali, per un afflusso selezionato e incontrollato, sarebbe fascista, xenofobo, razzista genetico, lanciatore di uova: il massimalismo socialista, dell’utopia marxista che negli anni Sessanta si era trasfuso nell’attivismo confusionario e visionario dei preti eretici, i don Zeno, i don Milani, i dom Franzoni, rimasticato e trasfuso nella retorica liberal europeista come ha colto perfettamente un filosofo tenuto nella nicchia quale Rudyard Ledutko. O tutti o nessuno! Non esistono clandestini, solo esseri umani; nessun confine, nessuna barriera, siamo tutti migranti, tutti esuli e nessuno esule su questa terra. Belle parole, ma storicamente non si è mai dato, in nessuna epoca, un luogo, un Paese che abbia rinunciato a difendere il proprio perimetro né può durare alcuno Stato condannato ad imbarcare ogni anno cento, duecentomila presenze del tutto passive, inette e indisponibili ad entrare nel tessuto sociale ospitante, a sentirsi parte di una trama di abitudini, regole, leggi, consuetudini, sapori, suggestioni popolari, insomma di una civiltà. Si confondono molto epoche e condizioni, ma chi insiste con la litania dell’ “anche noi siamo stati migranti” trascura la volontà italiana ad integrarsi a qualsiasi costo, a qualsiasi prezzo, pur mantenendo le proprie matrici, insieme ad una omogeneità religiosa che facilitava il processo di aggregazione; oggi siamo di fronte a miriadi non intenzionate, tranne casi meritori ma rari, a farsi assimilare e la condizione islamica, di un credo cioè orgoglioso, sospettoso, incline alla conquista, rende la faccenda maledettamente complicata. Di immigrazione c’è bisogno, come sa chiunque si avventuri nel caos più o meno organizzato di New York o della sua gemella cinese, benché occidentalizzata, Hong Kong. Per dire di sangue giovane, fresco, entusiasta. 

Nessuno, o pochi esaltati fuori dal tempo, sogna la chiusura, la blindatura razziale e nessuno nega che la commistione di generi, di sguardi, di idiomi, di rituali possa, debba tradursi in rimescolamenti vitali ed eccitanti. Ma sono processi dai tempi lunghi e lunghissimi, che abbisognano di regole severe, di controlli anche duri, e che non possono maturare nel lassismo multiculturale fino a ieri maturato da una sinistra omertosa e struzzesca. 

Comunque la si pensi, oggi a Salisburgo, nell’ennesimo vertice di facciata, si confrontano Paesi europei uniti solo da una cosa: l’immigrazione come problema, come fastidio o paura che reciprocamente puntano a spostare, a scaricarsi gli uni sugli altri. E dove i singoli governi non hanno provveduto in tempo a capire, dove hanno tenuto oltre il lecito la testa sotto la sabbia, le leadership franano, dall’Europa neolatina a quella più nordica e luterana, con la pressione sempre più potente di formazioni nazionaliste anche preoccupanti, di nuove destre che non saranno fasciste come la demonizzazione mediatica le dipinge ma certo si avvicinano sempre più a intransigenze, ad ossessioni che inquietano, che non lasciano tranquilli.

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